Con la scusa di approfittare di una delle ultime domeniche più o meno estive per girovagare fra le colline del Chianti con la Spider, questo pomeriggio mi è capitato di tornare in un posto dove non mi fermavo da quasi mezza vita.
Detto così sembra banale, ma i ricordi legati a quel luogo nascono con una vendemmia di tanti anni fa.
Era settembre, venivo da un’estate passata a rimettere insieme i pezzi di una parentesi fallimentare ad architettura, con la netta sensazione di non avere idee su cosa fare del mio futuro.
Ma non voglio farla lunga.
Quei quindici giorni di vendemmia furono un po’ come i giorni di tutte le vendemmie: faticosi, divertenti, pieni di sole e di qualche pioggia, di regressioni ludiche bambinesche, di discorsi da bar sport, di cretinate, di un’infinità di episodi piccoli e grandi e di tutto il resto che non sto a raccontare.
Ricordo che con noi c’era un tizio un po’ strano ma simpatico, avrà avuto una sessantina d’anni, parlava di politica e di calcio, di una vita vissuta da provinciale e riempita di illusioni e sogni destinati a fallire, ciò nonostante forti abbastanza da ingannarti quanto serve. Fra questi suoi sogni, una squadretta di calcio della zona, iscritta a qualche campionato molto in là nell’alfabeto, di cui era il presidente.
Finita la vendemmia io ed un amico tornammo a trovarlo nella sede della società sportiva, una stanza e mezzo al primo piano di un circolo Arci con i muri soffocati da vecchi ritagli di articoli di giornale, interrotti da un armadio e qualche mensola con pochi trofei troppo simili a quelli che si vedono nelle presidenze di certe scuole.
Un posto che già allora mi sembrò un tuffo senza paracadute nel passato.
Stasera passando davanti a questo circolo, sento la voglia di fermarmi.
Vorrei fermarmi, ma lì per lì lascio perdere, premo sull’acceleratore e tiro dritto.
Faccio ancora un chilometro, poi accosto e torno indietro.
Posteggio nel parcheggio a lato dell’edificio.
Scendo, faccio pochi passi e mi guardo intorno, entro nel bar semivuoto, giustificando quasi subito il mio ingresso con un gelato. Al bancone due donne sulla cinquantina.
E’ tardo pomeriggio, ma c’è ancora il sole. Su una televisione troppo moderna scorrono immagini di un “novantesimo minuto” dei giorni nostri o qualcos’altro del genere. Appena fuori un gruppetto di anziani parlotta come si parlotta al circolo la domenica pomeriggio.
Mi dirigo verso la stanza sul retro. Un calcio balilla e un vecchio biliardo, ma non c’è nessuno. Cerco le scale per il primo piano, ma non le vedo. Esco con l’intenzione di chiedere se c’è ancora qualcosa e qualcuno nei locali di sopra, ma poi lascio stare. Sono passati troppi anni e preferisco lasciarli ai ricordi.
Cammino un po’ nei dintorni, spengo il telefono e osservo le colline riempite di vigneti. Oggi più che mai sono convinto che la campagna regali una serenità che la città semplicemente non sa dare.
Mi vengono in mente quei giorni di quella fine d’estate, e un contrasto stridente fra un posto dove tutto è rimasto identico e gli anni che sono passati, me li fa sentire allo stesso tempo vicinissimi e lontani.
Mi chiedo se non siano stati importanti quei giorni nel dare il via ad una catena di errori e occasioni mancate. Non solo quelli e quelle, ma sono quelli e quelle che mi interessano. In quel periodo decisi più o meno che studi avrei fatto e dove avrei vissuto e quale strumento avrei imparato a suonare e che genere di libri avrei letto e in quale ruolo avrei giocato nelle partite di calcetto e in quale locale sarei andato il sabato sera e tutto il resto. Detta così sembra non possa tornare, ma molte cose nella vita nascono da scelte minuscole, insignificanti, che solo nel tempo assumono un peso importante. Poi non lo so.
Non lo so nel senso che non so se sia andata davvero così.
Mi abbandono su una panchina, faccio finta di scrivere messaggi con il telefono mentre osservo una ragazza bionda seduta in macchina, ferma al parcheggio. Ogni tanto mi osserva anche lei, ma solo perché mi ha visto scendere da una vistosa auto sportiva.
Comunque non lo so.
Non lo so in effetti, ma è strano tornare dopo tanti anni in un posto che non è legato a nessun fatto significativo, eppure pare un quadro ideale di quel confuso pantano post adolescenziale che, credo, sia nei ricordi di tutti o quasi tutti.
La ragazza bionda fa salire sulla Clio grigia delle amiche e lentamente se ne va.
Riaccendo il telefono, mi bagno il viso con l’acqua di una fontana, torno alla macchina.
Un centinaio di metri di provinciale più tardi sono di nuovo a settembre duemilatredici.